In edilizia come nell’industria e nei trasporti, in passato l’amianto è stato ampiamente utilizzato per le sue caratteristiche, quali versatilità, resistenza al calore e all’azione meccanica, fono assorbenza, flessibilità, basso costo di lavorazione. Soprattutto negli anni Ottanta, questo minerale è stato tra i più usati, ad esempio, per la coibentazione di tubature, la copertura di tetti (con la tipica forma a onduline) e la produzione di migliaia di manufatti di uso industriale, compresi beni di consumo come gli elettrodomestici. Si stima che all’inizio degli anni Novanta fossero commercializzati circa 3mila diversi prodotti contenenti amianto, mentre per il solo eternit (il cemento-amianto) le stime si aggirano su oltre un miliardo di metri quadrati di coperture. Ma solo dopo decenni si è scoperta la sua pericolosità per la salute umana, tanto da vietarne l’uso e correre ai ripari attraverso complessi processi di bonifica che attualmente interessano ancora molti edifici.
Il nemico invisibile per la salute
Formato da fibre molto sottili, l’amianto o asbesto – dal greco asbestos “inestinguibile” – è una sostanza di natura minerale a base di silicio che può provocare gravi effetti degenerativi e cancerogeni all’apparato respiratorio, fino al decesso (7mila nel 2020, in base alle stime dell’Osservatorio nazionale amianto). In altre parole, se ne vengono inalate le sue fibre o polveri, può determinare l’insorgenza di tumori del polmone e mesoteliomi anche dopo oltre 25 anni dall’inizio dell’esposizione, spesso addirittura dopo 40-50 anni.
Secondo l’ultimo rapporto del Registro Nazionale Mesoteliomi istituito presso l’Inail, nel periodo compreso tra il 1993 e il 2018 sono 31.572 i casi di mesotelioma maligno diagnosticati nei soggetti con età media di 70 anni. Per quanto concerne le modalità di esposizione, approfondite per 24.864 casi (78,8%), esse riguardano perlopiù ambiti lavorativi (69,1%), familiari (5,1%), ambientali (4,3%) e, in minima percentuale, toccano anche attività di svago o hobby (1,5%). Tra i settori professionali maggiormente coinvolti ci sono l’edilizia (16,2% del totale), la metalmeccanica (8,8%), il settore tessile (6,3%) e le attività dei cantieri navali (7,4%). Ma nel drammatico quadro rientrano anche numerosi altri ambiti produttivi nei quali l’esposizione è avvenuta per la presenza del materiale nel luogo di lavoro e non per uso diretto, come ad esempio negli zuccherifici (0,8%) e nelle altre industrie alimentari (2,1%), nell’industria chimica e delle materie plastiche (3,3%), del vetro (1,3%), della carta (0,9%), della gomma (1,3%), nell’estrazione e nelle raffinerie di petrolio (1%) e nella produzione di energia elettrica e gas (1,7%). Senza tralasciare l’esposizione in ambienti spesso aperti al pubblico, come strutture sanitarie (2%), banche, poste e assicurazioni (0,5%), scuole (0,5%), alberghi, bar e ristoranti (0,5%).
Le leggi in Italia
In Italia, come in altri Paesi successivamente, con l’entrata in vigore della Legge 257 del 27 marzo 1992, l’amianto è diventato illegale. Tale provvedimento, infatti, ne ha vietato l’estrazione, la produzione, l’importazione e l’esportazione, la commercializzazione e lo smaltimento, dando quindi il via alla complessa operazione di bonifica delle strutture e dei manufatti contenti questo nocivo minerale, ancora oggi in atto. Ma già nel Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro (D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81), all’interno del Titolo IX – Capo III, sono presenti riferimenti sulla protezione dai rischi connessi all’esposizione, compresi gli obblighi che il datore di lavoro deve seguire per individuare materiali a potenziale contenuto d’amianto (art. 248).
Normative di riferimento:
Ex art 246 al 265 D. Lgs. n. 81/08
In definitiva, occorre far effettuare un’accurata ispezione e una valutazione del rischio per conoscere e valutare il rischio della presenza di amianto all’interno dei materiali in edificio e, in seguito ai risultati di tale valutazione, adottare le misure necessarie affinché non si liberino le fibre di amianto.
Se è accertata la presenza di amianto, mediante i risultati dell’analisi di un laboratorio accreditato, e risulta necessario intervenire, si possono percorrere le seguenti strade, a seconda delle risultanze:
- Rimozione, che risolve il problema alla radice, ma bisogna considerare gli aspetti delicati dell’intervento;
- Incapsulamento, quando si applicano sostanze impregnanti che formano una pellicola di protezione;
- Confinamento, che consiste nel porre una barriera fisica che isola l’amianto dall’ambiente;
- Sovracopertura, che consiste nell’applicare una copertura di altro materiale sopra l’amianto, di solito si adotta per i tetti in Eternit.
Per gli ultimi tre casi, bisogna stabilire una periodicità con cui effettuare le verifiche di controllo successive al primo intervento, poiché gli stessi materiali sono soggetti a degrado.
La bonifica passa soprattutto dalla valutazione del rischio
Rimuovere le fibre d’amianto dagli edifici in modo sicuro non è un’operazione semplice e soprattutto alla portata di tutti. Per legge, infatti, occorre rivolgersi ad aziende specializzate e autorizzate, ma non senza prima aver valutato i rischi in un’ottica di tutela della salute e dell’ambiente. La programmazione delle attività di bonifica in sicurezza, infatti, avviene attraverso procedure e tecniche che hanno come obiettivo primario quello di rendere inoffensive le fibre di amianto presenti nell’edificio o nel manufatto.
La valutazione del rischio di esposizione eseguita da Gestirsi Service, in particolare, mira a verificare lo stato di conservazione dei manufatti e a stabilire il grado di pericolosità correlato all’eventuale presenza di amianto, individuando di conseguenza le misure preventive e protettive da attuare. Ciò attraverso tutta una serie di operazioni che vanno dai rilevamenti fotografici mediante sopralluogo di personale esperto all’ispezione visiva dei materiali e alle mappature dell’area, fino al rilascio di una relazione contenente i risultati delle analisi di laboratorio effettuate e gli obiettivi dell’indagine.
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